domenica 17 ottobre 2010

L'attimo dopo aver finito il capolavoro


Fu nella giornata, o meglio nella notte del 27 giugno 1787, tra le undici e le dodici, che, in un padiglione del mio giardino, scrissi le ultime righe dell’ultima pagina

 Probabilmente nemmeno lui ci credeva, ma la sua fatica era davvero finita. Dopo tremila pagine. Dopo anni e anni di ricerca e di scrittura. Dopo tutto lo stillicidio di dubbi (suoi) e di sberleffi (altrui). Era davvero finita. E per dirla con le parole di uno dei tanti che negli anni avrebbero curato la sua opera:

Prima dell’evento, nessuno aveva motivo di ritenere che quell’uomo piccolo e grasso con i capelli rossi, la voce acuta, l’abbigliamento stravagante e le assurde affettazioni stesse scrivendo la più grande opera di storia che sia mai stata pubblicata

Ma era proprio così. Edward Gibbon aveva terminato la più colossale, la più bella, la più citata delle opere storiche: Declino e caduta dell'impero romano.

Più di due secoli sono passati da allora, le tesi di Gibbon sono state prese e lasciate più volte, gli storici hanno tenuto a battesimo tante nuove ipotesi e poi ne hanno celebrato il funerale. Ma perdersi in quelle pagine è ancora un'impresa affascinante.

Pare che tutto sia cominciato con una gita a Roma da giovane. Pare che prima di lanciarsi in quest'opera Gibbon avesse accarezzato l'idea di scrivere una storia della repubblica svizzera - e che fortuna che non ne abbia fatto di niente. Pare che il duca di Gloucester, trovandosi tra le mani il secondo volume (diversi altri erano ancora da scrivere) si sia lasciato sfuggire:

Un altro maledetto libro grosso e quadrato! Sempre scarabocchi, scarabocchi, scarabocchi! Eh, mister Gibbon?

Mister Gibbon, malgrado tutto, tirò avanti. Proprio quell'omettino, che le cronache ci segnalano come perennemente bersaglio del ridicolo.

Poi quel giorno arrivò. Il giorno in cui non c'era più niente d'aggiungere per raccontare 1400 anni di storia.
Provatelo a immaginarvelo, in quel momento. 

Si sa che Gibbon depose la penna e si mise a passeggiare sotto un pergolato di acacie, con vista su un lago. Si guardò intiorno. L'aria era dolce, il cielo sereno. Tutto taceva, quasi in una manifestazione di rispetto.

Più tardi avrebbe scritto:

Non nasconderò i miei primi sentimenti di gioia all’idea di aver riacquistato la mia libertà e, forse, di aver conquistato la fama. Ma ben presto il mio orgoglio venne abbattuto e una quieta malinconia si diffuse nell’animo mio al pensiero di aver lasciato per sempre un vecchio e piacevole compagno e all’idea che, qualunque potesse essere il futuro della mia Storia, la vita dello storico non poteva che essere breve e precaria

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