giovedì 14 marzo 2019

Piccola autobiografia nel ricordo di Shulim

Sono nato su un treno mentre la città bruciava...

Ecco, comincia così, con queste parole che già spingono dentro i crimini del Novecento, la Piccola autobiografia di mio padre di Daniel Vogelmann, piccolo grande libro che è la storia di un secolo e di una famiglia, di una vita scampata ad Auschwitz e di una ferita che non si è mai rimarginata, di una casa editrice a cui in tanti vogliamo bene e di una speranza consegnata al futuro, malgrado tutto, perché ciò che è stato non deve avere l'ultima parola.

Quante cose davvero in queste poche pagine, scritte senza cercare effetti speciali, ma distillate attraverso la memoria e il sentimento. Non deve essere stato facile, la sfida è già tutta nel titolo, il figlio che presta la sua voce al padre, la prima persona attribuita a un altro che scardina la logica del memoir famigliare.

Tutta una vita, per quanto al figlio è stato dato di sapere. La Galizia orientale, terra scomparsa dalle mappe, con quella città che brucia all'inizio. Vienna, Trieste, coda di un impero alla fine, prima dell'inferno della Grande Guerra. Il trasferimento a Firenze, sulla scia del fratello rabbino, l'incontro con un'altra persona della comunità ebraica importante per la nostra editoria, Leo Samuel Olschki. Il lavoro di tipografo che un giorno, nel lager nazista, lo salverà, prima di entrare nella lista di Schindler. La morte della moglie Anna e della figlioletta Sissel nel campo di sterminio. Quel numero tatuato sul braccio. E poi il ritorno da sopravvissuto, l'immenso dolore dentro, la difficoltà di essere creduto, ma anche un figlio - Daniel - e i libri che tornano a essere stampati.

Ci sono immagini che non se ne vanno via, in questo libro: come la mela donata dal soldato tedesco. Ci sono frasi che sembrano scolpite sulla pietra: come quel Ho sempre amato la vita alla conclusione, malgrado tutto. 

E malgrado tutto, un libro che sa di vita. Libro di memoria, certo, in cui, per quanto mi riguarda, ho ritrovato quel numero sull'avambraccio di cui tanto tempo fa mi parlava mio padre, giovane medico che a Shulim faceva gli esami del sangue: non conoscevo la sua storia, ma forse fu il mio primo contatto con la Shoah. Di memoria, ma anche di presente che guarda al futuro: una casa editrice che nasce e che come titolo propone La notte di Elie Wiesel; il figlio di Daniel che prende il nome di Shulim e che un giorno scriverà un libro. Il titolo? Mentre la città bruciava

Cosicché tutto ritorna, nell'affetto e nel ricordo, persino le poesie per la sorellina mai conosciuta, la piccola Sissel. 


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