lunedì 11 settembre 2017

A Mantova saluto l'estate e mi porto via libri e promesse

Ieri in treno, di ritorno da Mantova, dopo le giornate trascorse al Festival della Letteratura che ogni settembre fa di questa città la capitale del libro e prima ancora dei lettori. Di questo sto parlando, non della mia ultima lettura, per una volta. Di un ritorno in  treno, una domenica pomeriggio: e non c'è niente che mi mette più tristezza delle stazioni dei treni la domenica pomeriggio. Un giorno di fine estate, poi.
Come ogni anno è a Mantova che saluto i viaggi, i libri, i festival dell'estate.Ragione sufficiente per una robusta dose di malinconia. Eppure, eppure. Quante cose mi sono portato dietro.

Per esempio gli incontri con alcuni autori da cui quest'anno mi sono fatto coccolare - Jan Brokken e Martin Pollack su tutti - con i loro reportage narrativi, carichi di storia e storie, buona letteratura per entrare nello spirito dei luoghi.

La scoperta di altri autori, che non avevo ancora avuto la fortuna o la capacità di incrociare. Diego Marani, per dirne uno, con il suo libro sul bar del paese e su quel personaggio - Nullo di nome, non di fatto - che pare un personaggio universale: e io a interrogarmi sulle analogie e le corrispondenze che tengono insieme quel bar di paese e il mio pub di quartiere.

Le 400 persone che domenica mattina di buon'ora hanno affollato una sala perboat people dei nostri tempi e dei nostri mari - e non sapevo decidermi: 400 persone riunite così erano un'enormità o erano maledettamente poche, a fronte di un paese che non sa più ascoltare queste storie?
Kim Thúy, scrittrice vietnamita scappata ragazzina dal suo paese su un barcone, per essere bene accolta in Canada. E pensando a lei e alle storie degli altri vietnamiti che in Canada hanno trovato casa e lavoro - e che sono diventati medici, dentisti, ingegneri - pensavo anche ad altre persone -

Le chiacchiere da bar, i discorsi col vicino di sedia, le parole e i sorrisi presi al volo per le strade e le piazze di Mantova. Complicità e connivenze, magari innaffiate di lambrusco. Persone che ho ritrovato qui, dopo averle già incontrate grazie a qualche altro libro che fu galeotto in altre parti di Italia.Altre persone che solo fino all'altro ieri erano un profilo su Instagram o un blog senza volto. L'idea di far parte di una comunità di gente che legge e partecipa e senz'altro rende migliore l'Italia.

Quanti siamo, però! Sì, è vero, magari siamo tutti qui.

I ragazzi che per giornate intere hanno provato a promuovere un bel festival di poesia in Emilia, avvicinando tutti in piazza Sordello, invidia per i loro sorrisi, il loro entusiasmo e la loro maglietta: La poesia è un invito alla felicità.

Tutte le persone che agli incontri hanno sfoderato taccuini, bloc notes, quaderni, pezzi di carta su cui prendere appunti, nemmeno si fosse di nuovo sui banchi di scuola, a prepararsi per un'interrogazione.

Il solito zaino pieno di volumi che presumibilmente si accatasteranno sopra il mio baule delle "letture in attesa".

Pensare che sul treno per qualche attimo, sul treno, ho sentito come una sensazione di vuoto. Sbagliavo, certo. Con tutte le voci, tutte le parole che mi terranno compagnia. In autunno e poi in inverno, prima di ripartire.

2 commenti:

  1. Buongiorno Signor Ciampi.
    I suoi post sono sempre molto interessanti.
    Mi piacerebbe poterla intervistare per il mio blog (www.emotionrit.it). Dove posso scriverle?

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  2. Che poi sei lì, rifletti, scopri, arrivi a tarda sera con mille idee e neppure tanta stanchezza. Nonostante la pioggia, nonostante i chilometri percorsi per andare a destra e manca, nonostante il lavorio della mente. E pensi che questo paese non è poi così brutto come ci appare ogni volta che sfogliamo un giornale.
    Poi prendi un treno a Bologna, di lunedì mattina, ti guardi intorno e ti chiedi dove siano andati a finire tutti quei ragazzi in maglietta blu, quell’entusiasmo, quei taccuini, quegli occhi dentro un libro. E ti sembra di vedere solo un’umanità inghiottita da uno smartphone e un like.

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