domenica 23 aprile 2017

Nel noir di Manzini anche le lacrime sono vere

 «Facciamo come quando si legge un libro. Io racconto il 70 per cento, il resto lo mettete voi con un po’ di fantasia. Ne avete da vendere, no

Bene, buon ultimo sono arrivato anch'io, a leggere un romanzo di Antonio Manzini. Un po' prevenuto, lo ammetto. I soliti morti ammazzati, il solito investigatore preso a pugni dalla vita, scorbutico ma in fondo con un cuore buono e capace di perseguire il suo ideale di giustizia. Quante volte l'ho incontrato? Da Montalbàn a Camilleri, non posso più stupirmi.

Poi sarà che tra i vari titoli proposti da Sellerio sono capitato proprio su questo. Un titolo che non sembra nemmeno un titolo, perché è solo una data: 7-7-2007. E che per l'appunto è solo una data, perché è un romanzo che gira intorno al tempo, che si fa lungo flash-back,  che guarda indietro per raccontare tutto ciò che è successo per determinare un momento fatale, una data dopo di che niente è stato più come prima.

Il solito investigatore? Ma no che non lo è, così come è difficile imbrigliare dentro i confini del noir un libro come questo. Non lo può essere se va così a fondo, se ridesti fantasmi del passato, se anatomizzi rimorsi e rimpianti.

E i cadaveri ci sono, certo, e sono di giovani brutalmente ammazzati. Eppure non sono solo contabilità del crimine e attività da squadra investigativa. La scrittura di Manzini va a scavare per riportare alla luce ciò che la trama di genere trascura, nel ritmo degli ammazzamenti e degli altri colpi di scena. Il dolore delle famiglie, le lacrime vere, i molti compromessi con la propria coscienza, l'incapacità di arrendersi alla crudeltà di un destino già consumato...

Beh, che dire, ora dovrò rifarmi, con gli altri libri di Antonio Manzini. 

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