mercoledì 29 giugno 2016

Troppa felicità e quello che succede dopo

E' sempre lei, straordinaria nella dimensione di racconti che per densità e profondità potrebbero essere grandi romanzi, capace di scrivere con la scioltezza di un pittore ispirato,  ogni pennellata una nuova luce sulla nostra umanità. Alice Munro, canadese, premio Nobel qualche tempo fa, per quanto questi riconoscimenti possano contare qualcosa. Per me significano poco, quello che mi importa è la capacità delle pagine di catturarti e non lasciarti più.

Mi mancavano, i dieci racconti della raccolta Troppa felicità (Einaudi). Dieci storie, dieci luci che si accendono su mondi, che irrompono nella quotidianità di famiglie, di comunità di provincia, di esistenze che potrebbero passare per serene, quasi soddisfatte. Qui ci sono persino padri che uccidono i loro figlioletti in un raptus o figli che fanno fuori anziani genitori per una casa. Però potrebbero anche non esserci, perché poi è altro che alimenta la narrazione di Alice Munro, ciò che sta alla superficie ma soprattutto ciò che si agita dentro; illusioni che vengono meno, improvvise prese di coscienza, attimi di straniamento che cambiano tutto, amori che vengono meno non si sa come, pulsioni che incitano alla bugia o a sottili crudeltà.

Racconti da cui ho fatto fatica a separarmi. Più una sorpresa, l'ultimo racconto, quello che dà anche il titolo alla raccolta, inatteso perché con un'ambientazione storica e con una protagonista scovata tra le pagine di una biografia, Sofia Kovalevskaja, donna e matematica russa, con le sue vicissitudini nell'Europa dell'Ottocento.

"La verità è che la matematica richiede molta immaginazione", diceva Sofia. Mi emoziona a pensare alla potenza dell'immaginazione che accomuna quella donna dell'Ottocento ad Alice Munro.

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