mercoledì 20 maggio 2015

Il rapinatore di banche che leggeva libri

Di lui dicono che sia di una "bravura mostruosa" e che, oggi come oggi, sia il migliore a raccontare storie. Personalmente non credo tanto a classifiche di merito e qualità, ma certo, se ci sono e se valgono la pena, J.R. Moehringer se la batte ai vertici. Provare per credere. Soprattutto con il primo libro, Il bar delle grandi speranze, tra i più toccanti (e scritti bene, appunto) che negli ultimi anni mi siano capitati.

E ora ecco Pieno Giorno (Piemme), storia di Willie Sutton, rapinatore che per almeno un quarto di secolo è stato il nemico pubblico numero uno di tutte le banche di America. Però senza mai versare una sola goccia di sangue. E sempre in pieno giorno, scommettendo su astuzia, imprevedibilità, audacia. Prima di finire seppellito a Sing Sing - un carcere che di per sé appartiene al nostro immaginario - dove trasformerà la sua cella in una biblioteca, con Shakespeare e Dante a fargli compagnia.

Un giorno, ormai vecchio, ormai decisamente più saggio dei più, tornerà anche in libertà: e quel giorno si troverà a raccontarsi a un giornalista, a ripercorrere i luoghi della sua vita. Forse riuscirà a dare un senso a tutto.

Storia di rapine, evasioni, di parole scritte, che in Moehringer sono sempre possibilità di redenzione.  Storia dell'America del Novecento. Storia che mescola le carte del bene e del mare. Storia di amore, anche, di grande amore. E con l'amore, storia di tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Un po' come sempre con questo scrittore: verità che si fa narrazione, vita vissuta che gioca sempre con i sogni e i desideri.


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