mercoledì 18 dicembre 2013

Ciò che avevo dimenticato del mio libro


Questo è un libro che va scritto. Lo so da un pezzo e te l'ho detto. Magari non ti ho mai spiegato perché debba essere proprio io a scrivere questo libro. Ma anche questo lo so da un pezzo. È stato per quel cronista che della banda di Cicoria aveva scritto così: "Gli specialisti del traforo". Allora anch'io mi sono riscoperto giornalista – giornalista che una volta bazzicava questure e tribunali – e da giornalista ho avvertito un crampo di nostalgia, da giornalista ho sentito scattare la molla della curiosità, da giornalista ho annusato la storia, perché storia è, anche se per essa bisogna scavare nel tempo, piuttosto che viverlo, il tempo. 

 Buffo, scrivi cose così, che finiscono in un tuo libro. Poi te ne dimentichi e magari non sarebbe niente di che, se non fosse che proprio in un paragrafo come questo si nasconde la ragione di un intero lavoro.

Poi a una presentazione - l'altra sera alla Caffetteria delle Oblate, a due passi dal Duomo di Firenze - capita che un lettore attento e rigoroso come Leandro Piantini - che ringrazio - salti fuori proprio con questa manciata di righe. E che dica: è proprio con queste parole che si spiega Il babbo era un ladro. 

Me ne ero dimenticato. Oppure era una cosa di quelle che quando scrivi non le dai il peso giusto. Viene così, scorre. E tanto basti. 

Meno male che ci sono le presentazioni. Mica per vendere libri. Ma perché c'è sempre qualcuno che prova a offrire un colpo d'occhio diverso. Un'altra possibilità per un tuo libro. Qualcosa di cui non ti eri accorto. O che ti eri dimenticato.   

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