mercoledì 15 maggio 2013

In Brasile, tra futuro e nazismo

Laddove, in questi nostri tempi difficili, scorgiamo una speranza per un futuro migliore in zone semi-sconosciute, è nostro dovere additarle, indicandone le possibilità. E' per questo motivo che ho scritto questo libro.

In questo modo Stefan Zweig, l'autore della Novella degli scacchi e di altri splendidi libri, presentava il suo ultimo libro, così impastato, fin da queste parole, dal senso della fuga e dalla speranza di una nuova vita in un accogliente altrove.

E già questo fa pensare. Stefan Zweig è tra gli scrittori che più di tutti sembrano legati alla cara vecchia Europa sul ciglio della catastrofe. Anzi a quel sogno incastonato dentro un continente, che fu la Mitteleuropa. Un mondo forse già finito con la Grande Guerra ma che poi il nazismo annichilì con la sua barbarie.

Per Stefan Zweig, ebreo di Vienna, rimase appunto solo la possibilità della fuga, l'ipotesi di una nuova vita. Per esempio in Brasile, terra tutto sommato ancora semisconosciuta dagli europei, dove forse avrebbe potuto reinventarsi.

Speranza che vibra ancora nel titolo di un libro che ora la casa editrice Eliot ripropone al lettore italiano: Brasile, terra del futuro.

E in effetti terra del futuro il Brasile lo è stata per tanti. Non per Stefan Zweig, però. Uomo che apparteneva al passato, uomo che così aveva scritto in Il mondo di ieri, titolo quanto mai eloquente.

 Inerme e impotente, dovetti essere testimone della inconcepibile ricaduta dell'umanità in una barbarie che si riteneva da tempo obliata e che risorgeva invece col suo potente e programmatico dogma dell'anti-umanità.

In Brasile, il 23 febbraio 1942, si suicidò, insieme alla sua giovane moglie. 

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