sabato 12 gennaio 2013

Vincent Van Gogh, che non era un fannullone

Non lo conoscevo, Vincent Van Gogh. Conoscevo solo i suoi quadri, che forse non è la stessa cosa. Ma ora quante cose ho appreso su di lui, leggendo le sue lettere al fratello Theo, pubblciate da Guanda. E quante sorprese, su pagine che pensavo solo di autocommiserazione e follia più o meno manifesta.

Quasi mi sembra di averlo incontrato nella vita, questo solitario alla perenne ricerca di amore e amicizia. La sua aria assorta, grave, segnata da pensieri come schegge appuntite.

E quasi mi semba di aver discusso con lui:  del calore di una fede religiosa che non gli bastò a dare le risposte necessarie oppure dei sogni di matrimonio mai portati a compimento.

Vincent che insegna ai bambini, che visita i malati, che insegna la Bibbia ai minatori. Vincent che
a 26 anni si interroga:

Il mio tormento non è altro che questo: in che cosa potrò riuscire.

Vincent che un giorno pesca una risposta:

Mi sono detto: riprenderò la matita, mi rimetterò a disegnare, e da allora mi sembra sia tutto cambiato per me.

Vincent che scrive a Theo:

L'infinito e il miracoloso ci sono necessari ed è giusto che l'uomo non si accontenti di qualcosa di meno e che non sia felice finché non li ha conquistati.  

Vincent che un'altra volta gli invia queste parole:

 Solamente se ti fosse possibile di vedere in me qualcosa d'altro che un fannullone di cattiva specie, ne sarei molto lieto. E poi se mai potessi fare qualcosa per te, esserti utile in qualcosa, sappi che sono a tua disposizione.

Vincent che ammette, senza stracciarsi le vesti:

Grazie a Dio ho il mio lavoro; ma anziché guadagnarmi del denaro con esso, ho bisogno di denaro per poter lavorare, questo è il guaio.

Vincent, di cui alcune tele saranno affidate a un rigattiere, che in parte le brucerà, ritenendole senza valore, e in parte le rivenderà a un sarto, a dieci centesimi l'una.

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