venerdì 27 aprile 2012

I barbari, nel nostro mondo che cambia

Lui non cercava mai di capire cos'era il mondo, ma, sempre, cosa stava per diventare il mondo.

Alessandro Baricco questa aspirazione la attribuisce a Walter Benjamin, ma si capisce, che vale anche per queste sue pagine, che raccolgono un lungo itinerario intorno alla "mutazione".

I barbari è un libro a cui mi sono accostato con qualche diffidenza. E invece, sorpresa, in queste pagine Baricco è proprio a suo agio, con la sua cultura elegante, mai banale, certo a volte poco tagliente e un po' esibizionista, comunque capace di cogliere le avvisaglie dei "barbari" alle noste porte.

Io certo i "barbari" li vedrei anche altrove, in certe fabbrichette o in certe ronde di quartiere, eppure la "mutazione" si può cogliere anche attraverso il calcio o il vino che cambia.

Però, attenzione, qui non c'è un Catone sdegnoso che parla dall'alto della sua torre d'avorio. Anzi, le pagine più belle sono quelle che fanno saltare le mura - non c'è confine, credetemi, non c'è civiltà da una parte e barbari dall'altra: c'è solo l'orlo della mutazione che avanza, e corre dentro di noi - e che rimettono in discussione lo stesso concetto di barbari per riportarci dove in realtà non possiamo non essere.

Nell'unico luogo che c'è, dentro la corrente della mutazione, dove ciò che ci è noto lo chiamiamo civiltà, e quel che ancora non ha un nome barbarie. A differenza di altri penso che sia un luogo magnifico.

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