giovedì 14 luglio 2011

Era Emilio. Ero Odoardo. Ero io


(Da I due viaggiatori, Mauro Pagliai editore)

Vorrei assistere davvero alla loro partenza. Vedere una nave che stacca gli ormeggi e abbandona quella nostalgia di pietra che è il molo, come diceva il grande Fernando Pessoa. Vorrei osservarli bene mentre dal ponte osservano tutti noi farsi più piccoli, interrogandosi su quanto si stanno lasciando indietro: forse altre persone che misteriosamente erano anche loro stessi, prima.
 

E già che ci sono vorrei che con loro ci fossero anche altri amici che mi hanno tenuto compagnia.
 

Magari Tex che in qualche modo ho sempre considerato l’altro fratellino di Sandokan, benché porti la stella dei rangers, non la lama del pirata. E perché no, anche Corto Maltese, il marinaio, l’avventuriero irrequieto di quell’altro sognatore praticante che è stato Hugo Pratt.
 

Per tutti loro mi rifarei di nuovo ragazzino orgoglioso di cantare a squarciagola la sigla di uno sceneggiato.
Scorre il sangue... nelle vene
Forte vento... nella notte calda si alzerà!
Sandokan! Sandokan!
Giallo il sole la forza mi dà
Sandokan! Sandokan!
dammi forza ogni giorno ogni notte il coraggio verrà...

E sarei davvero più forte, sarei più coraggioso. Riacciufferei quanto ho perso nel cammino.

Anche Emilio, ora. Emilio che scorgo mentre si gira verso Odoardo e gli sorride, una buona volta. E che si permette anche una frase lieve, che sa di amicizia. 


La prossima volta nei Caraibi? C’è un certo corsaro nero che merita di conoscere…
 

Li saluterò per l’ultima volta, libero da ogni rimpianto. Poi forse, girandomi per tornare a casa, mi tornerà in mente una di quelle vecchie illustrazioni, con Sandokan sul ponte della nave abbracciato a una giovane principessa malese.
 

E l’ aurora ci trovò sul ponte del praho, pallidi e commossi, recitava la didascalia.
 

A guardare per bene quel Sandokan superbo era proprio lui.
 

Era Emilio. Era Odoardo. Ero io.

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