lunedì 11 aprile 2011

L'africano che al mistero diede del tu



E Agostino, il grande Agostino, il filosofo, il teologo, il maestro dello spirito, il vescovo di Ippona.


Agostino era africano. E già questo qualcosa lo dice. Comincia così il suo ritratto di Agostino la storica e scrittrice Silvia Ronchey, nel suo straordinario Il guscio della tartaruga (Nottetempo), galleria di vite più che vere ricostruite attraverso la trama delle loro citazioni.

Bello, davvero bello: uno sguardo sbilenco e curioso, la capacità di cogliere il corpo vivo, pulsante, sotto il guscio della tartaruga, appunto.

E Agostino, allora. Agostino che ebbe un'anima turbata e una prosa incantata. Che da ragazzo si imbestialì in amori diversi e tenebrosi. Che divenne un grande enigma a se stesso e prese a domandare alla sua anima perché fosse così triste.

Agostino che capì che la tristezza si consuma perché perde ciò che desidera nel momento in cui lo possiede. E che il piacere, dunque, non potrà mai scindersi dal suo contrario, il dispiacere, come due lati della stessa medaglia.

E forse fu proprio per questo che Agostino divenne Agostino, colui che oggi conosciamo o diciamo di conoscere.

Al mistero Agostino diede del tu

Lo cita Silvia Ronchey, che io cito, nello stesso libro in cui ci racconta di Charles Baudelaire.

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