venerdì 3 dicembre 2010

Rileggendo "Anywhere out of the world"

Questa vita è un ospedale dove ogni ammalato è posseduto dal desiderio di mutar di letto. Questi vorrebbe soffrire di fronte alla stufa, e quegli crede che guarirebbe accanto alla finestra.
A me sembra che stare sempre bene là dove non sono, e questo problema dello sgombero è uno di quelli che discuto senza requie con l'anima mia

Di tanto in tanto mi imbatto ancora in queste parole, con cui Charles Baudelaire attacca l'ultimo dei suoi Piccoli poemi in prosa. Mi imbatto in esse e, a distanza di tanto tempo dalla prima volta, non me le lascio scorrere alle spalle, non le accantono con l'indifferenza che forse potrei anche meritarmi.

Perchè non si tratta solo degli anni che sono passati. Tante cose sono successe nel frattempo. E in qualche modo hanno fatto sì che mi guardi indietro e classifichi certi sentimenti come intemperanze o malesseri da ventenne. Soprattutto questo romantico bisogno di altrove, sempre e comunque, questo altrove che non ha niente a che vedere con la voglia di scoprire, conoscere, diventare che è proprio del viaggio. Che piuttosto richiama un'umanissima incapacità di accettarsi.

Oggi, più di prima, sento che il viaggio non è fuggire da me stesso, ma scoprire me stesso - e anche questo sarà un parlare banale, però vero. Sento questo, eppure le parole del poeta francese mi scuotono ancora. Ancora sono dita che si stringono sul cuore:

Alla fine, l'anima mia sbotta e saggiamente mi grida: "Non importa dove! non importa dove! purché sia fuori di questo mondo!"

3 commenti:

  1. Credo che per questo mio momento di inquietudine ti ruberò la citazione iniziale.

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  2. moi,je me retrouve dans mon ailleur

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  3. Il vero motivo perchè ha ancora senso parlare di viaggi, nell'epoca in cui tutto è già visto e conosciuto, risiede in quella capacità del soggetto di saper guardare il mondo con occhi nuovi e, tramite questa attitudine, rimettersi in discussione insieme alle sue certezze deboli.

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