lunedì 13 dicembre 2010

Il giornalismo che non ha paura della grande Rete

Il punto non sono le tecnologie, è il modo in cui le persone le stanno utilizzando

Attacchi questo libro, un po' timoroso di doverti sciroppare una lettura impervia, buona per gli addetti ai lavori, e invece ecco subito una frase che inquadra il problema. E che ti fa capire che il problema non è solo degli addetti ai lavori, appunto. E' di tutti, perché tutti, volenti o nolenti, sono e saranno obbligati a interrogarsi sulla società dell'informazione, su quello che saremo e che diventeremo nel mondo della Rete, delle tecnologie digitale, dei social network.

Perfino i libri: che diventeranno i libri che finora ho accumulato sui miei scaffali, scaffale dopo scaffale, con istinti compulsivi? e che diventerà la lettura?

Solo per dire, naturalmente, perché non c'è cosa, presumibilmente, che nei prossimi anni non starà dentro il mutamento.

Da un po' di tempo mi intriga in particolare cercare di capire cosa ne sarà il giornalismo, in un mondo invaso, anzi direi alluvionato, da informazioni di cui i giornalisti non sono più i produttori. Insomma, cosa ne sarà del giornalismo, inteso come professione che qualcuno dà già per morta, non senza qualche compiacimento?
Beh, tra tutti i libri che sul tema ho letto fin qui, Giornalismo e nuovi media. L'informazione al tempi del citizen journalism  di Sergio Maistrello  (Apogeo edizioni) è senz'altro il migliore. Serio, documentato, concreto e anche rassicurante, ma solo grazie alla forza dei fatti.

E una volta messo via, credo che ci rimarranno impressi almeno tre punti. Che guardare all'indietro non serve a niente, è come opporre una linea Maginot contro la rivoluzione tecnologica (cioé perdere senza nemmeno combattere). Che il futuro risiede nella capacità di sintonizzare il giornalismo dei professionisti con il giornalismo dei cittadini. Che il giornalismo come mestiere saprà sopravvivere nella misura in cui difenderà la qualità, contro tutto e tutti.

Bello, però. Chiudono i giornali, i giornalisti vanno a casa. Però si può provare anche a dire, con Mark Briggs: Non c'è mai stato un momento migliore per essere giornalisti.


Basta saper raccogliere la sfida.

4 commenti:

  1. basta saper raccogliere le sfide in tutti gli aspetti della nostra vita

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  2. Lo ammetto, sono tra i convinti (ancorchè poco compiaciuti, ti garantisco, se non altro per questioni...materiali) dell'imminente morte della professione, che giace in stato di agonia. O forse coma profondo.
    Mi procurerò il libro di Maistrello, ovviamente, nella speranza di trarne qualche motivo di ottimismo.
    Tre sole osservazioni:
    - non credo che il nemico sia mai stato la tecnologia: siamo noi che ci siamo suicidati;
    - non credo affatto al giornalismo dei cittadini, che è come la medicina dei cittadini e l'ingegneria dei cittadini (belle a parole, ma poi la gente muore e i ponti crollano);
    - la qualità assoluta non può essere un hobby e di hobby non si campa.
    Insomma faccio proprio fatica a trovare un momento migliore per essere giornalisti.
    Un abbraccio, Stefano.

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  3. Aggiungo soltanto che sabato scorso a Pisa sono andato alla presentazione dell'ultimo libro di Paolo Rumiz, occasione per inaugurare una mostra d'arte contemporanea di giovani artististe dedicata al viaggio (titolo Strade/Routes). Bene, Rumiz racconta di quando, giornalista del Pillo di Trieste, andò in Ungheria per verificare se erano vere le voci che davano per imminente la caduta del comunismo. Si trovò nella sede del partito centrale di Budapest con il corrispondente del Giornale di Montanelli. Mentre aspettavano di essere ricevuti, si guardarono e dissero: "Ma usciamo, qualcosa accadrà", dicendosi che stare lì in attesa di parlare con un dirigente del Partito sembrava inutile. Fuori in effetti trovarono molti segnali che qualcosa stava per accadere. Il primo e più simbolico fu vedere le edicole piene di giornali del Partito invenduti, impensabile a cose normali.
    Non so, mi suona in testa la frase dei due corrispondenti, come un monito a far buon giornalismo, a fare inchieste e buona informazione. Con i propri occhi. Leggerò il libro che commenti e credo fermamente in quello che dici, Paolo: che il cambiamento che viviamo è una sfida e che può fare bene all'informazione.
    Francesco Pierotti

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  4. caro stefano, hai ragione su molte cose o forse penso che si dica più o meno le stesse cose, solo io con un po' di più di ottimismo. Il giornalismo dei cittadini, chiamiamolo così ma si tratta solo della possibilità che tutti hanno a questo punto di produrre contenuti sulla Rete, va bene e inevitabile, il problema è che comunque c'è bisogno di informazione professionale e che ormai le due cose in qualche modo devono tenersi. Certo che la qualità non deve essere un hobby e il problema è proprio quello, fare in modo che la qualità trovi il modo di essere riconosciuta. Però è da questo che si parte, dalla difesa stretta della qualità....
    Per Francesco, bellissimo questa storia di Budapest, è un buon insegnamento, un richiamo a tutti, giornalisti e non, per difendere la qualità dell'informazione, bene di tutti, senza farsi incantare da facili sirene... un saluto e a presto, paolo

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