mercoledì 6 ottobre 2010

Ricordando Gigetto, l'ultimo dei poeti

L’importante è alzare lo sguardo, sentirsi in bocca l’aria di queste cime. Loro non sono cambiate, con le loro foreste di castagni e più in alto di abeti e faggi. Per non dire degli aceri, degli ontani, delle acacie, dei sorbi e dei ciliegi selvatici. Sui prati in vetta ci sono come un tempo le mirtillete e anche i prati dove fioriscono le carline, con cui da sempre i montanini leggono il tempo che farà.
 

Se è la stagione giusta, ci sono anche i crochi che sono i primi a spuntare a primavera, perforando quello che rimane della neve. E più tardi gli anemoni e le genziane, i gigli e tutti gli altri fiori che sono una gioia per lo sguardo, ma prima di tutto regalano qualcosa di molto vicino a una certezza. Perché i fiori scompaiono ma poi ritornano, basta aspettare il tempo giusto, assecondare il ritmo delle cose.
 

Scompaiono, ma poi ritornano. Non importa se sono appassiti e se di loro ora non rimane niente, basta che ci sia un seme, a riposare sotto terra. Forse è lo stesso anche per le voci degli uomini, per le arti e i mestieri che si sono persi.
 

Magari vale anche per il canto di Luigi Ferrari, detto Gigetto, Gigetto del Bicchiere, l’ultimo dei poeti della montagna.
 

E sì, davvero, la poesia è come un fiore. Quando scompare è solo per tornare la volta dopo.




(da L'ultimo dei poeti, Edizioni Sarnus)

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