giovedì 19 agosto 2010

Guardando con umiltà ai nostri antenati

Risalire di generazione in generazione, dare un nome, un volto, un qualsiasi aggettivo a coloro da cui discendiamo. I nostri antenati. Coloro con cui condividiamo geni e molecole, ma forse anche parole e qualcosa di ancora più profondo. Oltre i nostri nonni e bisnonni, più lontano, dove le linee si confondono, i numeri crescono, l'idea di una parentela diventa quasi un arbitrio. Ci penso spesso, come credo tutti voi, e pensandoci poche volte sfuggo a un senso di vertigine. Ma c'è una persona che tutto questo lo ha scritto e scritto bene: Marguerite Yourcenar, che tutto questo ha messo al centro di  libri come Archivi del Nord (Einaudi)

E' lei che una volta ha detto:

Naturalmente, sia pure nel breve scorcio di alcuni secoli, è impossibile ritrovare tutti quei nomi, o dare un volto a tutti quegli esseri. Essi sono irrimediabilmente perduti, tranne che in noi. Ma si può cercare di spingersi il più lontano possibile in quei mondi...

Quest'avventura l'ho tentata all'età di circa sessant'anni. Se la vita ce ne concede il tempo credo che arrivi sempre il momento in cui si tenti di tirare le somme, di fare un po' il punto; in cui ci si chieda che cosa si debba a certi antenati sconosciuti, o quasi, a certi casi o vicende da tempo dimenticate, forse perfino (ed è in fondo lo stesso) ad altre vite

Una dimostrazione di vanità? Non credo: in un bisogno come questo non intravedo la smania dell'albero genealogico, la presunzione del quarto di nobiltà. Piuttosto faccio mia un'altra grandissima frase che ci regala la Yourcenar:


In questo ritorno ai milioni di esseri di cui siamo fatti, vedo, al contrario, l'origine di una grandissima umiltà

E credo che proprio in questa umiltà risieda uno dei più importanti segreti di una buona vita.

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