venerdì 9 aprile 2010

Quando critici e scrittori vanno alla guerra


Beh, alla fine dei conti mi sa che si tratta del solito gran parlarsi addosso che lascerà del tutto indifferenti i lettori (che poi sono l'unico oggetto del contendere). Però trovo piuttosto interessante il dibattito sui rapporti tra gli scrittori e i loro critici che si è sviluppato in rete in questi giorni.

Ricapitola assai bene la questione Luigi Mascheroni sul Giornale.it, in un articolo che prende spunto dalla reazione di fuoco di Isabella Santacroce alla recensione di Renato Barilli al suo nuovo Lulù Delacroix.

Solo lo spunto, però, perché poi Mascheroni guarda indietro, senza dimenticarsi vari eclatanti episodi, da Michele Mari che schiaffeggia Antonio D'Orrico al Corriere della Sera, a Alessandro Baricco che firma l'intervento "Cari critici, ho diritto a una vera stroncatura".

"I rapporti tra critici e scrittori - afferma Mascheroni - scivolano da sempre lungo una china rabbiosa. Ma ultimamente sembrano franati in un baratro di violenza"

Sulla questione ha alimentato un bel dibattito Loredana Lipperini sul suo blog, in cui leggo, tra le altre, parole sacrosante:

"Mai come in questi anni chiunque - davvero chiunque, dall’autore già noto all’esordiente, passando per gli affascinati dagli editori a pagamento al possessore del manoscritto inedito - si sente in diritto di essere sotto il cono di luce, di restarci sempre e di cacciare a pedate chiunque osi avanzare il più piccolo dei dubbi.
Esserci, esserci, esserci a tutti i costi. Come se il diritto al successo (perchè di questo stiamo parlando, non di arte: parliamo di persone che non vogliono semplicemente scrivere, ma pubblicare e andare in classifica) fosse l’unica possibilità di esistenza in vita.
Sarò sgradevole: ma questo mi pare poco sano, e di certo non fa bene ad un ambiente letterario come quello italiano. Molto affollato di scrittori, poco frequentato dai lettori".

Discussione, oziosa? Forse, però mi sembra giusto ribadire almeno due (forse tre) concetti.

Insomma, è bene che ciascuno faccia il suo mestiere senza mettere i piedi nel mestiere degli altri. E dunque, è giusto pretendere che i libri prima che siano recensiti siano anche letti.

Però poi il critico faccia il critico e nessuno pretenda che faccia qualcos'altro. Lo dico non come autore di alcuni libri, semmai come giornalista. Perché questo è un paese in cui siamo sempre pronti a circuire il giornalista di turno, basta che non disturbi il macchinista, che non faccia le pulci a questo o a quel ministro, che nemmeno sollevi qualche perplessità sulla squadra che vince.

Un paese che chiama giornalisti quelli che vorrebbe sempre e soltanto estensori di encomi più o meno solenni. Scritti bene però.

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