venerdì 12 marzo 2010

Kapuscinski e la sottile frontiera della verità


Ecco, dopo Bruce Chatwin è toccata anche a lui, a Ryszard Kapuscinski, al grande giornalista che non solo ci ha raccontato il mondo, ha fatto anche molto di più, perché ci ha insegnato il viaggio come stupore, come immedesimazione, come rivelazione in cui si perdono le proprie certezze per confrontarle con quelle altrui.

Appena un uomo così muore scatta subito il processo di beatificazione, poi le orazioni funebri terminano, il ricordo sbiadisce, altri nomi e altre pagine pretendono l'attenzione. E finisce che c'è sempre qualcuno che si alza in piedi per segnalare magagne, difetti, torti. Il mostro sacro non è più poi tanto sacro.

Insomma, ora succede anche con Kapuscinski, colpito (ma non affondato) da una robusta biografia uscita in Polonia e che già fa discutere in giro per il mondo. Dateci oggi la nostra polemica quotidiana. E questa è bella grossa.

I termini della questione sono bene illustrati su Repubblica di oggi, in una bella pagina di Timothy Garton Ash, ma stringi stringi l'accusa è sempre quella: quanto ha inventato, quanto ha messo di suo Kapuscinski nei suoi libri? Abbiamo preso i suoi reportage come oro colato, come verità che parla attraverso la penna di un grande giornalista: e se invece dovessimo iniziare a spostarli negli scaffali della fiction?

Non ho ancora elementi per entrare nella questione. Però mi chiedo, c'è un mondo (e c'è una storia) che può essere raccontato da un autore senza che "ci metta del suo"? La realtà non è sempre realtà colta attraverso uno sguardo? Dov'è il confine tra fiction e non fiction?

Da queste domande potete capire già come la penso. La frontiera della verità è sottile e tendo a collocare in un altro paese, un paese che non mi appartiene, solo le falsificazioni consapevoli, le menzogne nude e crude, le strumentalizzazioni.

E ci sarebbe da discutere in tutto questo. Però lo confesso, l'istinto sarebbe quello di andare oltre, di dirla con le stesse parole di Lawrence Weschler, uno scrittore americano citato oggi su Repubblica: "Cosa importa in che scaffale riponiamo Il Negus e Shah in Shah: fiction o non fiction? Saranno sempre libri meravigliosi"

E poi ricordare il sorriso di Kapuscinski, quel sorriso che nemmeno l'autore della biografia, peraltro suo amico, ha saputo e voluto cancellare: quel sorriso caldo, disarmante.

1 commento:

  1. Dude thats like totally insane man!@

    Jess
    www.big-brother-watching.net.tc

    RispondiElimina

La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar

  Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...