venerdì 11 settembre 2009

Le piccole librerie e i biglietti per il mondo


Se i libri sono viaggi, sono le librerie i posti dove si staccano i biglietti per il mondo. Sono loro che ci aiutano a fare le valigie e magari ci accompagnano per un bel pezzo. Ma cosa succede se scompaiono una a una? Cosa perdiamo, se se ne vanno proprio quelle che non ci propongono il viaggio da catalogo, ma il viaggio su misura, il viaggio che è giusto il nostro e che allo stesso tempo è stato costruito insieme?

Su Repubblica di oggi, pagine di cultura, vi segnalo un importante speciale: "Salvate il piccolo libraio". Scrive Michele Smargiassi:

"Le librerie indipendenti chiudono una a una o cambiano forma. Sgocciolano via le botteghe della lettura, scompaiono i dettaglianti della cultura, gli ecologi difensori della 'bibliodiversità'. Gli ultimi dodici mesi sono passati come i lanciafiamme del romanzo di Bradbury sui piccoli negozi di carta stampata, senza distinzione tra blasonate e anonime, antiche e recenti, metropolitane o provinciali..."

In Italia le librerie sono 1.770: di per sè non un grande numero. Almeno un terzo appartengono a grandi catene, con le loro strategie commerciali che non sempre si conciliano con il bene di quel bene tutto particolare che è il libro. Meno ancora garantiscono quella 'bibliodiversità' di cui Smargiassi.

In questi anni si è parlato molto di "presidi del libro". Ben vengano. Però mi sa tanto che presto ci sarà bisogno anche di "presidi delle librerie": non fosse altro che per salvare un patrimonio di frequentazioni, esperienze, consigli su questo o quel libro, magari letto e apprezzato davvero, perchè non è solo un titolo dalla copertina luccicante e dalle ambizioni di alta classifica. I viaggi su misura si costruiscono così. E beh, credo che ne valga la pena.

3 commenti:

  1. E' proprio così. Anche la libreria dove vado io è piccola e spesso si trova in difficoltà con la concorrenza dei supermarket. Però sono le uniche che consentono la biblio-diversità: un mondo di grandi magazzini del libro, belli uniformati, non è il massimo.
    Bye

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  2. C'è del buon nelle piccole librerie, ma c`è del buono anche nei libri al supermercato.

    Pochi giorni fa io sono riuscito a leggere un bellissimo libro che mi interessava e che consiglio a tutti (Partigiana per amore, di Didala Ghilarducci, Marco del Bucchia Editore) solamente scrivendo direttamente all'editore, che me lo ha fatto recapitare, apposta per me, in una piccola libreria di Pisa.

    Ma, d'altronde, ho scoperto due anni fa Tito Barbini (e quindi poi anche Paolo Ciampi) solamente curiosando con il mio carrello tra gli scaffali di una IperCoop toscana. È lì che un libretto semi-nascosto intitolato "Anche le nuvole chiedono permesso" mi sussurrò all'orecchio "Comperami!". Lo ascoltai e scoprii un ottimo autore!

    L'unica cosa che veramente mi fa rabbrividire sono invece le gestioni delle nuove librerie (o di quelle vecchie rinnovate).
    Penso per esempio alla nuova gestione della libreria Marton a Treviso: invece dei vecchi commessi (che effettivamente leggevano i libri e ti sapevano consigliare quando cercavi qualcosa da regalare a qualcuno) adesso ci sono solo un gruppo di commesse anoressiche e androgine che manco sanno cosa sia un libro.

    Come dice un mio amico, di professione libraio:
    "Per quanto riguarda le librerie siamo nel macello, lo dico da libraio. Il nostro non può e non potrà mai essere un lavoro bensì un "mestiere". Soltanto il tempo crea un libraio almeno decente... a meno che non sia proprio refrattario alla lettura, cosa che mi sembra piuttosto tipico di alcuni nuovi "addetti" racimolati qua e là. Senza lettura si va da poche parti, ma anche senza esperienza sul campo, perchè non potendo leggere tutto ci si può affidare soltanto alle persone più esperte che ti guidano in questo lavoro, ai clienti che per fortuna costruiscono il tuo bagaglio di conoscenze ed arricchiscono con le loro scelte (se ascoltati) i tuoi scaffali e con l'abitudine alla ripetizione di un gesto quotidiano che è osservare, valutare, toccare, annusare, spiluccare ogni libro che ti capita di dover sistemare."

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  3. Mi sembra la polemica periodica sui "negozi storici" rimpiazzati dagli scarpari
    Se certi esercizi commerciali non generano un reddito sufficiente a coprire i costi chiudono. A meno che qualcuno non ripiani le perdite e consenta loro di sopravvivere. Chi? I Comuni, quindi il contribuente? Pero' allora si deve motivare per quale motivo il contribuente italiano dovrebbe trasferire reddito alle librerie e non, che so?, alle ferramenta o ai veterinari. Sorry, ma non c'e' alcuna ragione logica o equitativa.
    L'unica opzione che vedo e' che le perdite siano ripianate da chi si lamenta della scomparsa.
    Se poi certi esercizi sono discriminati rispetto ad altri, ci sono le autorita' di tutela della concorrenza.
    Ma al di fuori di quello non vedo proprio soluzione.
    Io posso anche rimpiangere la carrozza a cavalli ma non vedo perche' il contribuente italiano dovrebbe pagarmene una.

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