domenica 9 agosto 2009

Tutto solo nella giungla del Borneo

More about Gli occhi di SalgariOggi, tornando dai boschi dell'Appennino al mio appartamento di città, mi è tornato alla mente Odoardo Beccari, un personaggio poco noto in Italia, di più all'estero, come spesso accadde. Si tratta di uno dei più straordinari "scienziati-viaggiatori" della nostra storia ed è nato poco lontano da dove abito io. Solo che di lui ho sentito parlare per la prima volta solo in Borneo. Delle sue imprese, delle sue scoperte, del modo in cui i suoi resoconti hanno finito per ispirare Emilio Salgari magari vi parlerò un'altra volta. Oggi Beccari mi è venuto in mente per il modo con cui riusciva a stare perfettamente a suo agio anche abitando la foresta vergine, poco importa se si trattasse delle terre dei tagliatori di teste. Da un mio libro di alcuni anni fa ("Gli occhi di Salgari", Polistampa) vi riporto un piccolo brano della sua vita nella giungla... credo che possa essere di insegnamento, a tutti noi abitatori della giungla di città.


In questo modo Odoardo incomincia una vita quale forse non si è mai immaginato, ma che è perfettamente consona al suo temperamento. Le giornate scorrono serene e operose. L’Italia sembra ancora più lontana, confinata su un altro pianeta, forse in un’altra epoca. Beccari è cittadino della giungla negli stessi mesi in cui si combatte la guerra contro l’Austria. Di Lissa e di Custoza, delle umiliazioni patite dall’esercito italiano, dell’orgogliosa reazione dei garibaldini non gli arriva nulla. Il suo è davvero un mondo a parte: e non lo scambierebbe per l’altro.
Eccolo, il nostro Beccari stile Robinson Crusoe, non fosse per il cuoco cinese, preziosissimo, e per i ragazzi malesi che lo aiutano nella raccolta e nella preparazione delle collezioni. Veste semplicemente, libero da tutte le affettazioni europee: un paio di pantaloni e una corta giacchetta di rigatino. In testa un cappello cinese di bambù. In genere gira scalzo, abitudine presa a Kuching quando i suoi piedi si sono piagati per le mignatte. Solo per i giri più lunghi usa le scarpe di tela, senza calze.
La mattina presto se ne va per la foresta, rinnovando in continuazione il suo stupore per lo straordinario banchetto di specie animali e vegetali ancora ignote che essa gli propone: il massimo cui possa aspirare uno scienziato che alla vita accademica preferisce sempre l’esperienza diretta.
Il pomeriggio è dedicato a sistemare le raccolte, ai disegni, agli appunti. La capanna è anche un laboratorio, modesto, rudimentale, ma efficiente, al cui interno giorno dopo giorno si accumula un materiale gigantesco, per cui sbaveranno i musei di mezzo mondo.
Occupazione importante della giornata diventa la preparazione dei pasti. Nei pressi il fiorentino si è fatto costruire un pollaio. Per gli altri approvvigionamenti spedisce di tanto in tanto a valle qualcuno dei suoi uomini. In ogni caso il menù è praticamente fisso: pollo lesso con riso. Tra le poche alternative, qualche bucero fatto fuori e cucinato alla diavola, sulle stesse graticole su cui vengono seccate le piante.
È una vita semplice, essenziale, ridotta all’osso. Una vita che, paradossalmente, riempie Odoardo per sottrazione. E intendo sottrazione di pensieri, fastidi, ambizioni, bisogni. Perché risolvere il problema del fuoco, così come dell’acqua, vale più dell’oro.

1 commento:

  1. siamo sicuri che è così? Sento spesso parlare di quest'Arcadia che sarebbe poi il mito della vita primitiva, del buon selvaggio. E che mi dici degli insetti ematofagi, delle piaghe ai piedi, della fatica, del mangiare poco e male, della diarrea, e di tanti altri simpatici intrattenimenti non voluti? In più, spendere la vita in una raccolta tassonomica dei viventi per poi mostrarla a nessuno non mi entusiasma. Se fuggissimo tutti da questa civiltà per riprendere la vita selvaggia dovremmo abbandonare anche l'agricoltura per ritornare cacciatori raccoglitori, altrimenti la storia ricomincerebbe, e questo significa solo tempo per sopravvivere e per nient'altro. Anche io ho un desiderio di silenziare la bestia pensante dato che la fatica fisica attutisce i dolori dell'anima (e della società capitalistica).
    Detto questo, sono un fervente ammiratore dell'esplorazione in luoghi impervi, un naturalista del pensiero (vista la mia stanzialità). La vedi la contraddizione?
    Bye.

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